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leopoldo Attolico o ’ i colori dell’assenza’ - poesie

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Leopoldo Attolico … o ‘i colori dell’assenza’.
In “I colori dell’oro” – Caramanica Editore 2004

Se mai il vuoto, che non compete al nulla, avesse un profumo, sarebbe l’effluvio del tempo che passa e che lascia un alone di soglia, di forzata partenza. Quello stesso che questo raffinato poeta stilla da un sentimento d’amore, allorché abbandonata la sua proverbiale ironia, sofferma la mente sull’umanissima condizione dell’assenza, come d’ingombrante percezione di una perdita che non abbandona la presa e che nel timore della fine, dissangua …

“Brilla / è alta nella mente / la tua assenza / ed è il mio tutto / un battito rappreso…”

Se mai l’assenza avesse un colore, s’avrebbe un alone di luce, in cui almeno una volta nella vita (tutti) ci siamo persi e ritrovati nella moltitudine cercata, o quasi. Come dentro un attimo sfuggito al quadrante del tempo, ove abbiamo raccolto il frutto d’una felicità incommensurata che non lascia spazio al domani, alla solitudine avita che l’anima bella rifugge, ma che pure resta in agguato, allorché alla prima folata di vento contrario, ci si accorge d’averla perduta o forse sognata …

“e qui arrivato / nella città sepolta dalla notte / appena fuori stazione / quel tonfo di cancellata e di aria morta …” – “dare senza chiedere mai / è già rimpianto?”

Se mai l’amore è stato amore, ritroviamo in questo elegante volumetto dal titolo programmatico certi arcani “colori dell’oro”, segni dell’aurea presenza del poeta che improvvisa e che il silenzio invoca, svelando al lettore attento, il significato intenso e luminoso del suo amore, perpetrato, non senza rimpianto, per quel tanto che sa di giustificato, di prudentemente evocato, o forse di santificato …

“E non ho parole, seppur mai ne ho avute / né grida per liberarle; povera cosa divisa / tra il tuo dolore ed il mio / senza più peso, senza più volere / ma mai così vivo come ora nel tuo nome e nel mio: / un solo grande viso.”

“Eppure, vedi: / c’è un luogo del mondo, laggiù / dove irrompe il Divino o chi per lui /e le onde sono nidi di gioia, di vento / hanno grazia ed ali per portarti via.”

Se mai ciò avesse un senso, che pur ha, ancor più dona alla voce del poeta l’afflato del canto, nelle frasi che non ha pronunciato con le parole e che “premono sulle labbra”, insite nei battiti del suo cuore. Di quella parte di cuore che “in nebulosa di sonno / avara di abbandoni rettilinei” egli avverte in tumulto costante “dentro un gioco visionario / (di) geloso stordimento”.

Con quali parole, contro ogni altro dire, si coniuga l’amore, se non quelle della poesia che in piena luce sgorga fluente dal sentimento, dalla spinta interiore di un afflato reciprocamente sentito che nell’evanescenza dell’aere apre le ali alla luce e s’indora?
Quale alba sorgerà, si chiede il poeta, dopo l‘abbraccio argentato della luna nell’effondersi con la notte? Di quali costrutti s’avvale il futuro dei giorni a venire, se non dei sogni fatti reciprocamente? …

“In questo litorale spalancato / … / getto la salda ombra di un pezzetto d’amore / …/ colgo la limpida caduta / di un colore d’inchiostro / in soggezione d’alba.”

Se mai chi ama accusa in seno un dolore, è quello delle parole mancanti nel dialogo d’amore, che l’anima reclama. Ed è un susseguirsi di spasimi: “Un sapore di verità rimproverata / quasi una nota burbera / è questa tua infelicità senza desideri: / la vena di una rupe asperrima e verdissima nell’anima” …

“Ti ricordi dell’amore appena in tempo.
Come una nube improvvisa fa da schermo al sole,
così le tue parole ritornano sul viso
lo stupore di esistere,
la disabitata tristezza di conoscersi.
Forse il tuo amore, ora
è in questo breve margine nel ritornarmi
un addio negli occhi oltre l’impossibile,
oltre un morire silenzioso e immane.

Ed io non so se piangerne o sorriderne.”

Se mai la pagina bianca, che pur accoglie i suoi versi, parlasse del Sé, segreto e profondo, direbbe di un uomo che nello scorrere fluido della sua esistenza, ha pagato un pegno di sangue. Donde l’arcano viluppo di una vena scrittoria che nella luce ricerca il riflesso dell’oro: “…e un fioco lume / dolce nel lucido degli occhi che lo accoglie”, quando: “Il silenzio si congeda. / È l’alba. /…/Calda di nido / la mia notte è finita; / una poesia fra le mani”, che nei versi affioranti del ricordo trova un’eco lontana, mai stanca d’amore …

“Vengo a guardarti dormire, come fa la vita / quando raggiunge una soglia socchiusa / e ne allontana innocente il mistero / per lasciarvi un sogno.”

È allora che il verso si perde, scantona nelle ridotte linee di numerosi haiku, uno dopo l’altro, di un tacere sublime, quasi crudele, che dell’amore si fa discanto, al colmo di una “luminosa malinconia”, tra lo “stupore di esistere e di disabitata tristezza” come bene lo ha definito Giuliano Manacorda nella sua toccante ‘prefazione’ d’autore …

“La tua poesia taciuta
coi suoi cieli
e i suoi percorsi sottotraccia
mi fa pensare all’ubiquità – un poco spaventata –
di un coro a bocca chiusa.

Non ha nido di terra
ne suono di vento su corde d’acqua;
men che meno
la pausa senza peso – luminosa – di preghiera …

Io la assimilo a un altrove
di primavera intempestiva
ogni volta disattesa
fuggitiva
che ti cerca sulle labbra.”

Se mai nella vita, il crepuscolo ha ricoperto le ombre della sera di pulviscolo dorato: “Nel sereno disordine del cuore / aria di partenze e di approdi / e la vita aperta davanti come un fiume / incontro al mare.” / […] Invero, “C’è soltanto la cuspide di un senso / appena un po’ più in alto della storia / che trascorre i tuoi occhi, a ricercare, in quella / lo scarto della luce / che assorta su una piaga di tremola bellezza / interroga l’immenso.” / […] “E quel tuo andare leggera/ è una ferita che non guarisce più; / come l’amore / quando stilla sul mondo un batticuore / e poi s’inciela.”
Se mai l’amore …


L’autore.
Leopoldo Attolico, collabora a varie riviste letterarie, occupandosi prevalentemente di poesia performativa, con particolare riferimento al rapporto tra oralità e scrittura. La sua attenzione è sempre stata rivolta ad una classicità intesa come chiarezza di significati, con inserti di giocosità, ironia/autoironia e senso del paradosso. Tra i suoi libri in versi vanno qui ricordati “Il parolaio” 1994; “Calli amari” 2000; “Siamo alle solite” 2001; “Si fa per dire” -Opera Omnia, tutte le poesie 1964-2016, Marco Saya Editore.

Note:
Tutti i corsivi sono di Leopoldo Attolico, tratti da “I colori dell’oro” - Caramanica Editore 2004.


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